Ho aperto all’amico mio, ma l’amico mio si era ritirato, era partito. Ero fuori di me mentre egli parlava! L’ho cercato, ma non l’ho trovato; l’ho chiamato, ma non m’ha risposto.
Le guardie che vanno attorno per la città mi hanno incontrata, mi hanno battuta, mi hanno ferita; le guardie delle mura mi hanno strappato il velo.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio amico, che gli direte? Che sono malata d’amore.
Che è dunque l’amico tuo, più di un altro amico, o la più bella fra le donne? Che è dunque l’amico tuo, più di un altro amico, che così ci scongiuri?
L’amico mio è bianco e vermiglio, e si distingue fra diecimila.
Il suo capo è oro finissimo, le sue chiome sono crespe, nere come il corvo.
I suoi occhi paiono colombe in riva a ruscelli, che si lavano nel latte, montati nei castoni di un anello.
Le sue gote sono come un’aia di aromi, come aiuole di fiori odorosi; le sue labbra sono gigli e stillano mirra liquida.
Le sue mani sono anelli d’oro, incastonati di berilli; il suo corpo è d’avorio lucente, coperto di zaffiri.
Le sue gambe sono colonne di marmo, fondate su basi d’oro puro. Il suo aspetto è come il Libano, superbo come i cedri.
Il suo palato è tutto dolcezza, tutta la sua persona è un incanto. Tale è l’amore mio, tale è l’amico mio, o figlie di Gerusalemme.